Quando piove il Paese è a rischio

Un decimo del territorio nazionale si trova esposto alle conseguenze del dissesto idrogeologico che ci affligge; l’82 per cento delle Amministrazioni comunali è alle prese con esondazioni, più o meno gravi, di corsi d’acqua
Il 18 novembre 2013, in Sardegna, la perturbazione “Cleopatra” produce, in 24 ore, la pioggia che in media si registra in sei mesi. L’esondazione di fiumi, torrenti e canali di smaltimento per le acque piovane, dove i detriti si sono accumulati facendo fuoriuscire l’acqua, provoca l’allagamento in molti quartieri di Olbia, dove le acque giungono ai piani alti delle abitazioni, e 18 persone perdono la vita. Il 19 gennaio 2014, a Modena, l’esondazione del fiume Secchia, con rottura dell’argine destro nella frazione di San Matteo, provoca una vittima. Il 3 maggio 2014 le precipitazioni insistenti su terreni già saturi per precedenti eventi meteorologici, nelle zone di Senigallia e Chiaravalle nelle Marche comportano la morte di 3 persone. Il 2 agosto 2014, a Refrontolo, in Veneto, un violentissimo nubifragio provoca 4 perdite umane. Il 6 settembre 2014, a Peschici, in Puglia, cadono in pochi giorni da 300 a 500 mm di pioggia, provocando un’alluvione e la conseguente morte di due persone. Con quanto avvenuto nei giorni scorsi a Genova il bilancio degli ultimi dodici mesi registra quasi trenta perdite umane a causa di eventi meteorologici eccezionali che aggravano il dissesto idrogeologico del Paese. Se estendiamo lo stesso conto agli ultimi venti anni, ci accorgiamo che l’Italia detiene il poco invidiabile record in Europa di morti per effetto di precipitazioni meteorologiche estreme.

Nell’analizzare questi eventi, che, sempre più spesso, affliggono il territorio italiano, spesso si pecca di lucidità – comprensibile di fronte ai lutti, ma anche alle perdite materiali, spesso ingenti – non aiuta a valutare razionalmente la situazione e a definire una strategia per limitare i danni.

Fra le opinioni espresse da autorevoli commentatori, si stenta, infatti, a trovare le considerazioni di base che potrebbero definire correttamente i fenomeni cui assistiamo. In primo luogo l’Italia è un paese geologicamente recente, ben lungi dall’aver raggiunto una propria stabilità. Perciò il paragone di quanto avviene in Italia può essere fatto con il Giappone oppure con la Nuova Zelanda. Tuttavia il Giappone, essendo storicamente affetto da una sismicità molto elevata, ha imparato, a proprie spese, anche a difendersi dal pericolo idrogeologico, che costituisce una calamità meno gravosa rispetto al terremoto. Dal canto suo, la Nuova Zelanda ha una densità abitativa molto più bassa rispetto all’Italia, che con i suoi 60 milioni di abitanti, su un territorio di circa 300 mila kmq, è una delle nazioni più densamente popolate nel mondo. Il combinato disposto dei due fattori, appena menzionati, comporta che un decimo del nostro Paese è esposto a elevato rischio idrogeologico e che ben l’82% dei comuni è interessato da tali fenomeni. Allo stesso tempo nelle comuni valutazioni degli ultimi anni trova poco spazio, anche nelle iniziative politiche di Governo, un qualunque riferimento al cambiamento climatico in atto.

Spesso ci si trova a discutere sul fatto che piova di più o di meno, dimenticando che, ai fini dei fenomeni di dissesto idrogeologico, riveste un’importanza rilevante la distribuzione degli eventi meteorologici, nel senso che se in un mese l’altezza di pioggia precipitata, è uguale alla media degli ultimi anni, ma avviene tutta in un giorno, le conseguenze dannose possono essere catastrofiche. Tutto ciò non deve essere, ovviamente, un’attenuante rispetto alle gravissime responsabilità che emergono dall’analisi degli eventi degli ultimi mesi, ed anche degli ultimi anni.

Negli USA allarmi meteo in tempo reale per internet
Per ricorrere a elementi di confronto, più o meno impropri, può essere utile ricordare che negli Stati Uniti d’America, che si estendono per oltre 9 milioni di chilometri quadri ed hanno una popolazione di quasi 300 milioni di abitanti, esiste un’istituzione governativa, la Federal Emergency Management Agency (FEMA), che fornisce in tempo reale, su Internet, lo stato di evoluzione e i possibili effetti sul territorio di qualunque evento meteorologico. Tuttavia, se si prescinde da una corretta definizione del quadro di riferimento, ogni valutazione, ogni opinione espressa, difficilmente possono essere orientate ad una corretta impostazione di una politica risolutrice.

D’altro canto la situazione complessiva del nostro Paese sembra essere così compromessa, sotto questo punto di vista, che è difficile chiamare in causa, singolarmente, diverse categorie sociali ed economiche, o diverse istituzioni, pensando di giungere effettivamente alla soluzione del problema. È evidente che ogni soggetto coinvolto nella gestione della difesa del suolo ha responsabilità oggettive e rilevanti, ma pensare di poter avviare a soluzione il problema individuando dei colpevoli da esporre al pubblico ludibrio, rischia di condannare il nostro Paese a un’eterna ripetizione di esperienze molto negative. Sarebbe invece preferibile prendere atto che una politica di gestione del territorio e di difesa del suolo è fallita. Se la Protezione Civile, che è la nostra istituzione più simile alla FEMA degli USA, si occupa del trasferimento della Costa Concordia dall’isola del Giglio a Genova e poi accadono eventi tragici come quelli degli ultimi giorni, qualcosa evidentemente non sta funzionando.

Se ogni volta che il Governo o l’Unione Europea stanziano risorse finanziarie per affrontare il rischio idrogeologico nel nostro Paese, anziché concentrarsi sulle opere strategicamente importanti, che ormai storicamente si conoscono, si preferisce disperdere quei fondi in mille interventi per soddisfare le pur legittime piccole esigenze di tante Amministrazioni comunali, non ci si può stupire che le situazioni critiche torneranno a provocare danni come avviene oggi a Genova, con il ripetersi degli eventi del 2011. Se per ogni gara di appalto aggiudicata per la sistemazione di una porzione di territorio c’è un ricorso giudiziario pronto a bloccarne l’esecutività, ritardando la realizzazione delle opere progettate, è molto probabile che le aree esposte a rischio idrogeologico non si ridurranno mai. Né di questo si può dare responsabilità alla Magistratura chiamata ad applicare le leggi vigenti.

Per superare questa sostanziale impasse occorre immaginare un diverso sistema di gestione della materia, che prenda atto che il semplice ricorso agli stanziamenti pubblici non ha funzionato e non ha inciso sulla cultura del nostro Paese. In primo luogo sarebbe necessario insistere (e per far questo non occorrono grandi investimenti) sulla cultura della prevenzione. In secondo luogo sarebbe necessario verificare quanti Comuni si siano dotati, come previsto dalla normativa vigente, di un efficace piano di protezione civile, che significa, oggi, essere in grado di comunicare, in tempo reale, ai cittadini l’avvicinarsi di eventi meteorologici eccezionali, e fornire loro tutte le indicazioni necessarie per non rischiare la propria vita (e, dove possibile, mettere in salvo i propri averi).

Il disegno di legge elaborato da ARPE-FEDERPROPRIETÀ, ENEA, UCITecnici, Ordine degli Ingegneri, URIA
D’altro lato sarebbe auspicabile che le risorse finanziarie per la difesa del suolo provengano non solo dallo Stato, ma da entità private, come banche o assicurazioni, chiamate a coprire il rischio di chi decide di costruire, o continuare a gestire, manufatti a uso residenziale o commerciale in aree esposte a pericoli idrogeologici, e non dallo Stato, come peraltro proposto da studi specifici di autorevoli istituzioni (vedi il disegno di legge presentato al Senato ed elaborato da ARPE-FEDERPROPRIETÀ, ENEA, UCITecnici, Ordine degli Ingegneri della Provincia di Roma, URIA). In questo modo si spezzerebbe l’attuale catena di responsabilità che ha condotto allo stato di pericolo da dissesto idrogeologico in cui si trova (e rischia di continuare a trovarsi) il nostro Paese.